Uva di Troia: ancora prove tecniche di trasmissione, ma qualcuna pienamente riuscita

I Vini e le Cantine di Radici

 

Devo parzialmente rivedere e aggiornare il mio giudizio, non esattamente super positivo o esaltante, che avevo espressoleggete qui, qualche mese fa, al termine di una serrata sessione di degustazioni (170 vini in totale) svolte nell'ambito della rassegna Radici Festival dei vitigni autoctoni di Puglia, svoltasi in giugno a Monopoli. 

Parlando della ventina abbondante di vini che vedevano protagonista la varietà Uva di TroiaNero di TroiaCastel Del Monte oltre che nella Daunia nel foggiano, e solo da una decina d'anni e poco più vinificata in purezza, mentre in passato era abbinata a giudiziose dosi di Montepulciano e altre uve e nessuno si sognava di usarla da sola, avevo scelto di ricorrere ad una metafora canora. 
Avevo sostenuto che l'Uva di Troia sia meglio non farla cantare da sola, perché ha bisogno di un partner e da sola mostra i limiti, e soprattutto quando ambisce ad eseguire un repertorio impegnativo e punta a grandi risultati fa capire che deve ancora studiare molto per ottenere gli applausi convinti di tutti. Applausi che non si sa e quando arriveranno... 
Giudizio che pronunciato davanti ad un folto gruppo di produttori delle due aree sopra indicate, che sull'Uva di Troia dimostrano di credere producendo spesso più di un vino che la vede protagonista in solitudine, non mi era valso proprio grandi dimostrazioni di simpatia... 
Come scrivevo a giugno, "fuor di metafora, proprio come lo scorso anno i vini ottenuti dall'uva di Troia da sola sono apparsi incompiuti, troppo massicci, estrattivi, un po' "seriali" e ripetitivi, carenti di finezza e di definizione, dei vorrei ma non posso, talvolta oppressi da un intollerabile eccesso di legno. Continuo ad avere molti dubbi che la strada della vinificazione in purezza di questa uva cui sembra sempre mancare qualcosa sia quella giusta". 
Ora, essendo tornato, a qualche mese di distanza in Puglia e avendo avuto nuovamente modo fare una nuova degustazione, nell'ambito del wine tour di cinque giorni che sempre in collaborazione con gli organizzatori di Radici ha visto coinvolti un gruppo di wine writer stranieri, di un ricco campione di vini, sempre dell'area di Castel del Monte e della Daunia, che nell'Uva di Troia hanno il loro fulcro, sono ben felice di poter rivedere, seppure solo parzialmente, il mio giudizio. E di cogliere, pur mantenendo le antiche perplessità sulle possibilità di questa varietà di "ballare da sola", segnali che indicano che, forse, si sta individuando un approccio e un trattamento di quest'uva che le consentono di meglio esprimersi. 
Dall'assaggio di circa una trentina di vini ho difatti ricavato l'impressione che se da un lato ci siano ancora svariate aziende che lavorano sull'Uva di Troia in chiave di estrattività, sforzandosi di fare vino super concentrati e potenti, di intenso colore e materia super fruttata, con letture unidimensionali delle potenzialità del vitigno rese ancora più univoche da un ricorso esasperato dall'affinamento in piccoli fusti di rovere francese, aziende che ottengono vini che nel migliore dei casi sono dei "vorrei ma non posso", oppure finiscono per essere le parodie di un approccio moderno e new wave ai vini che ormai è vecchio e ampiamente superato, dall'altro ci sono, per fortuna, aziende che scelgono di lavorare sull'Uva di Troia, in purezza, o in mariage ragionati con quote di altre uve, in primo luogo il Montepulciano, con risultati molto ma molto più convincenti. Voglio, per esemplificare meglio il mio discorso, proporre alcuni casi di vini base Uva di Troia che non solo hanno ampiamente convinto il sottoscritto, ma soprattutto credo possano mostrare una strada valida da percorrere per chi lavora su questa importante varietà autoctona che costituisce una delle "armi" cui la Puglia del vino può ragionevolmente ricorrere per distinguersi nel mare magnum della produzione mondiale. 
Si tratta di vini accomunati da un'idea diversa di questo vino, giocata molto più sull'eleganza, sull'equilibrio, su una certa ricerca di finezza, sulla piacevolezza autentica, che si traduce in bevibilità, contrapposta all'apparenza del piacere, ovvero il ricorso ad effetti speciali per stupire, e su una scelta a mio avviso azzeccatissima, sia che si lavori in purezza, sia che si ricorra ad una quota di Montepulciano, quella di rinunciare all'abbraccio, che rischia di essere "mortale" per l'Uva di Troia, dell'affinamento in barrique, per approdare invece al più congeniale affinamento in acciaio oppure in legno, ma fusti di medie e grandi dimensioni di rovere di Slavonia o rovere francese. Ipotesi che trova d'accordo anche un amico e collega americano, Kyle Phillips, presente alla degustazione e al tour in Puglia, che sull'Uva di Troia esprime qui i suoi convincimenti, ovvero che "malgrado la sua potenza e la sua struttura trovo che il Nero di Troia abbia notevoli aspetti delicati, soprattutto olfattivi, e può mostrare seducenti aspetti floreali oltre alle note di frutta matura. I vini possono anche mostrare note agrumate e accenni speziati e anche se si può avere la tentazione di attribuire questi elementi al legno, credo che queste delicate sfumature derivino piuttosto dall'uva stessa. 
Sfortunatamente, se i vini trascorrono molto tempo in legno (specie barrique) queste caratteristiche vengono prontamente mascherate ed i tannini del legno, di cui l'uva di Troia non ha assolutamente bisogno, diventano protagonisti".

Ecco, per esemplificare il discorso, alcune note di degustazione dei vini, degustati ad inizio dicembre, che maggiormente mi hanno convinto. Comincio da un 2008, il Nero di Troia Igt Puglia Arrocco delle cantine Fujanera di Foggia, vinificato in acciaio, vino dalla notevole intensità colorante, dal naso intenso e di grande impatto, con note selvatiche di mora di rovo in evidenza, rotondo, succoso al gusto, con una bella materia fruttata ricca di polpa e una bella trama tannica fitta, ma non aggressiva.

Voglio poi citare il Castel del Monte Vigna del Melograno 2007 dell'azienda Santa Lucia di Corato, affinato in botti di rovere della Slavonia da 35 hl per un periodo di 6/8 mesi circa, colore ovviamente molto intenso, ma brillante e luminoso, naso ricco, di grande freschezza ed eleganza, molto succoso, con note di prugna, mora di rovo, accenni minerali e speziati, ricordi di fiori secchi, ed una bocca che seppure ricca, piena, di grande espansività e volume, mostra la capacità di articolare la trama, di distendersi terrosa, piena di energia e con notevole stoffa.

Quindi due vini di un'azienda di Lucera nel foggiano, Cantina La Marchesa, le Igt Daunia Donna Cecilia 2008Il Nerone della Marchesa 2007, il primo che vede l'Uva di Troia minoritaria, un 40% accompagnata ad una quota predominante, 60%, di Montepulciano, il secondo un Uva di Troia in purezza, affinato, per la serie l'eccezione che non conferma la regola, in piccoli fusti di rovere francese mentre il Donna Cecilia si affina unicamente in acciaio. 
Vino di grande immediatezza il Donna Cecilia, caratterizzato da una magnifica vivacità del colore un rubino intenso brillante, leggermente violaceo molto luminoso, da un frutto vivo e ben polputo, prugna, mora, da sfumature selvatiche e di liquirizia, molto diretto, ampio, carnoso al gusto, con un bel tannino presente ma non aggressivo, equilibrato, piacevole, dotato di una beva contagiosa.

Più impegnativo e strutturato il Nerone, più "materico", naso fitto, complesso, compatto, ancora molto serrato, con prugna, mora, liquirizia, macchia mediterranea in evidenza, ma anche una fragrante e fresca componente floreale, e poi, al gusto, nonostante la materia ricca, l'importante struttura tannica, è un altro elemento a colpire in un vino così, ed è la freschezza, il nerbo sapido, la vena minerale, l'acidità calibrata che equilibra la materia piena e la potenza del vino e lo rende lungo persistente, ma vivo e dinamico.

Voglio poi citare il Puglia Igt Rosso Le Cruste 2006 di Alberto Longo azienda posta a sua volta nell'agro di Lucera, che mi ha colpito, anche se molto particolare, con un timbro quasi "amaroneggiante", con note di sovramaturazione e quasi di appassimento delle uve in evidenza, vino dal colore fittissimo, quasi impenetrabile, e assolutamente "mediterraneo" nei profumi, caldi, pieni, cremosi, con liquirizia, prugna matura e note selvatiche a dominare, largo, succoso, con importante sostegno tannico, avvolgente, di grande pienezza e persistenza eppure dotato di un sorprendente spiccato carattere terroso.

Infine il vino che forse mi ha più sorpreso, insieme ad un altro vino di questa azienda, lo squisito Rosato Ponte della Lama, ottenuto anch'esso da Uva di Troia in purezza. Parlo del Rosso Canosa riserva Romanico annata 2005dell'azienda biodinamica Cefalicchio di Canosa (da ricordare anche per la splendida Country House) un vino ottenuto con una ricetta classica e tradizionale, ovvero vinificazione con lieviti autoctoni e con lungo contatto del mosto con l'uva pigiata e diraspata e affinamento in contenitori di acciaio e quindi in botti di rovere da 25 ettolitri ospitate in una suggestiva cantina scavata nella roccia e nel tufo dove il vino riposa nel migliore dei modi. 
Vino sorprendentemente elegante, equilibrato, godibilissimo, grande succosità di frutto, bella dolcezza cremosa a naso, dove spiccano nitide note di prugna, ciliegia, accenni di liquirizia, sfumature floreali e boschive, e poi ben polputo, lungo, persistente, scandito da una magnifica acidità nervosa e da una freschezza che innervano e danno dinamismo, articolazione, energia ad una materia ricca e piena. 
Bene, penso possano essere vini come questi, strutturati, pieni, potenti per certi versi, ma bilanciati e soprattutto improntati ad una piacevolezza ed una vivacità che deve essere in ogni caso l'obiettivo di ogni vino, ad indicare la strada maestra da seguire, la right way, per il futuro dell'Uva (o Nero) di Troia in Puglia, un'uva che deve ancora essere pienamente capita, indagata in tutte le sue sfumature, ma che sebbene continui a rappresentare un work in progress, una "prova tecnica di trasmissione", comincia a dare risultati confortanti, in grado di incoraggiare il consumatore, non solo quello locale, a dare fiducia a questa varietà e a questa tipologia di vini.

 

Pubblicazione Sommelier.it a cura di Franco Ziliani

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